A Casoli, un piccolo paesino dell’Appennino abruzzese, Lucilla Candeloro, docente d’accademia e artista attiva anche all'estero con varie mostre personali, ha trovato la propria fonte d’ispirazione. A farle da casa, e al tempo stesso da musa, è proprio la Maiella, alla quale l’artista è da sempre molto legata. La presenza della montagna nelle opere di Candeloro è infatti ricorrente lungo tutta la sua produzione.
Nelle opere di Candeloro, principalmente disegni di grandi dimensioni spesso realizzati a tecnica mista su carta, si possono riconoscere diverse anime. Una più materica, dove la sperimentazione riveste un ruolo fondamentale e gli elementi naturali, come sabbia, linfa e argilla diventano protagonisti. Una più eterea, che si richiama alle atmosfere dei paesaggi morandiani. E, infine, l’anima più astratta e contemporanea, che emerge dal sapiente impiego della tecnica del chiaroscuro.
Qual è il tuo rapporto con la montagna?
Essendo cresciuta con la bellissima Maiella alle spalle, la montagna fa parte del mio quotidiano. Nell’arco della mia carriera ho vissuto più tempo altrove, ma nel 2010 sono rientrata in Abruzzo e ho subìto una forte e rinnovata fascinazione del paesaggio, in particolare quello della Maiella.
Cos'ha di tanto particolare la Maiella?
Innanzitutto, è una montagna dalle forme molto morbide, e la collego alla dimensione femminile, non solo per via della figura mitologica di Maja da cui prende nome il gruppo montuoso. L’ho sempre vista come qualcosa che mi protegge le spalle e la prima volta che mi sono trasferita a vivere in Pianura Padana ricordo molto bene quella sensazione di agorafobia. Per me, il Gruppo della Maiella è cura e protezione, trasmessa in qualche modo anche dalle forme dei suoi monti, il Monte Amaro, l’Acquaviva e il Focalone che sembrano abbracciare chi li guarda.
Hai scelto di rientrare a Casoli, che conta poco più di cinquemila anime. Com’è fare l’artista in un contesto così particolare?
Non è stato pianificato. Sono tornata e inizialmente volevo rimanere poco, ma poi per una serie di coincidenze mi sono fermata. In realtà, per via del mio lavoro da docente sono spesso anche in viaggio. Tuttavia, trovo che Casoli sia un luogo ideale per la concentrazione. Allo stesso tempo, la parte difficile è portare la gente in studio, tanto che il primo centro abitato con un po’ più di vita è Pescara, che si trova a circa 60 km da qui. Quello che più manca è l’assenza di un contatto frequente con altre figure del settore con le quali ragionare e lasciarsi ispirare.
Parliamo della tua arte: pur padroneggiando altre tecniche, prediligi il disegno. Come mai?
Sicuramente, l’aspetto che apprezzo maggiormente nel disegno è l’immediatezza. La mia non è una produzione lenta e ragionata, ma diretta. In questo senso, forse, sono anche troppo produttiva. È un modo che ho per capire il mondo: se lo disegno, lo capisco.
Un aspetto che riguarda i miei disegni, poi, è che lavoro molto con le cancellature. Le mie opere, infatti, non sono rappresentazioni, ma reinterpretazioni di fotografie scattate durante le mie lunghe camminate. È così che ho scoperto che mi piace lavorare sui pieni e i vuoti della montagna. I calanchi, ad esempio, anch’essi sono molto presenti nel mio paesaggio quotidiano. Attraverso l’utilizzo della tecnica del chiaroscuro, dove lo scavo della luce genera ombre, si può trovare un collegamento con l'azione dell’acqua che dilava la terra nei calanchi.
Qual è, dunque, il ruolo della materia nelle tue opere?
Mi piace molto sperimentare, e mi trovo ad accumulare diversi materiali nel mio studio. Poi, col tempo, li impiego in pittura. Ho lavorato molto, ad esempio, con la linfa di alcune piante come l’eucalipto e altri vegetali, licheni, argilla e via dicendo. È un’attività, questa, che è nata dalle lunghe escursioni che ho effettuato durante una mia residenza nelle Blue Mountain australiane.
Più in generale, diciamo che il punto di partenza sono i paesaggi, sui quali realizzo dei focus molto particolari e mi trovo quindi a oscillare tra l’iper-raffigurazione e l’astrazione. Recentemente sento di prediligere quest’ultima.
E il silenzio, che ruolo gioca?
Credo che per un’artista sia qualcosa di necessario e fondamentale, anche se, a volte, risulta molto pesante. Soprattutto se ininterrotto. Di per sé, è la dimensione ideale per la produzione artistica. Solitamente, nelle mie opere il pubblico ci trova sensazioni più vicine all’opposto del silenzio, al rumore. Non si tratta di un effetto ricercato, è piuttosto qualcosa che deriva dal modo spontaneo e performativo in cui sono realizzati i disegni, dalle loro dimensioni. Se c’è una forma di silenzio, direi piuttosto che si tratta di quella sorta di pacificazione successiva allo sforzo, magari di una scalata.
La montagna vive un momento difficile? Affronti questo tema nelle tue opere?
Purtroppo sì. Ricordo bene che quando ero bambina le cime qui intorno erano sempre innevate. Quest’anno, invece, c’è stata solo una spolverata. Nella mia ultima produzione ho inserito dei lavori che inducono alla riflessione sul cambiamento climatico; penso sia doveroso parlarne, non si può far finta di nulla.
Nella serie intitolata Melting lavoro su delle cosmogonie che parlano della fragilità della terra. Si tratta spesso di superfici che prendono spunto da texture naturali come quella della corteccia, che rappresento un po’ come un’epidermide.
Indago, quindi, l’idea di fragilità, attraverso carte sfrangiate che sembrano quasi sospese, come fossero una pelle.
Tuttavia, dobbiamo ricordarci che non c’è solo la fragilità della natura, ma anche quella dell’uomo, che va di pari passo. La cura, secondo me, sta nell’avere maggior rispetto da parte di tutti, a partire anche dalle piccole cose. Quest’estate, lo si è visto bene, dopo che hanno razionato l’acqua per via della siccità.
La natura è un luogo in cui perdersi o ritrovarsi?
Nella natura ci si perde per poi ritrovarsi. Non in senso negativo, anzi. Penso che la natura vada contemplata come un’opera d’arte ed è così che davanti a essa ci si può pacificare. È un modo per rendersi conto che facciamo parte di un universo molto più grande e ritrovare la giusta umiltà che l'uomo dovrebbe avere di fronte al mondo. Anche in quanto artista, sono convinta che uno sguardo contemplativo sulla bellezza propria della natura, non possa che riappacificare.